Notizie storiche 3
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Il cielo della gioia si è improvvisamente oscurato
Gli eventi dolorosi sembravano non dare tregua al popolo reggino, durante i quali la Vergine non ha mai ritirato la sua mano consolatrice, con in braccio il bambino Gesù, la cui dinamicità mostrava l’impazienza di scendere fra quei poveri afflitti per far sentire il calore della tenerezza del Padre.
Non erano trascorsi neanche quattro lustri, quando un’altra volta il cielo della gioia si è improvvisamente oscurato. Il calendario segnava l’11 gennaio del 1693. Il freddo pungente, che solitamente accompagnava l’inverno, rendeva ancora più lugubre l’aria tacita e cupa, quasi come presagio d’imminenti grandi calamità. E così è stato. “Fin dalle nove del mattino – annotava il Vitriolo – erasi più volte dai reggini sentito qualche leggiero scotimento di terra, quando verso le ventuno del giorno undici spaventolli un gagliardo tremuoto, come ché innocuo alla città, accompagnato da cupo fremito pari a lontano rombar di tuono. Sorvenne dirotta pioggia, e nel mattino appresso fu la sacra effigie tradotta in duomo, perché fosse salva la città all’ombra del suo patrocinio. Ma furono i reggini sopraffatti da religioso spavento, lorchè seppero che tutto all’intorno era rovina e sterminio. Ben settantadue tra città e castella di Sicilia, ed altri di Calabria rimasti erano sfracellati e distrutti. Seppesi ancora, che l’ignivomo cratere dell’Etna erasi slargato per più miglia, e che la dotta Catania, gioiello della Sicilia più non era, restando dei suoi ventimila abitanti meglio che diciotto mila inabissati e spenti fra le ammonticchiate rovine. Men danno soffrì Messina, ma altre molte città dell’isola ebbero pari la sorte con Catania, della quale dir poteasi ciò che di Smirne scrivea il sofista Aristide allo Imperator Marco Aurelio: ella è fatta il più tristo e lugubre degli spettacoli, cimitero di cadaveri, massa di ruine, libero campo dei venti”.
Era uno scenario surreale quello che si presentava agli occhi dei sopravvissuti, sia per le ingenti perdite umane che per le massicce rovine alle strutture urbane e rurali e lo sconvolgimento della morfologia ambientale. Come pure per l’allargamento dimensionali del cratere principale dell’etna.
Intanto le notizie aveva gettato nel panico la popolazione di Reggio, che era accorsa ai piedi della Madre della consolazione, passando l’intera notte “in guardia, a cielo scoperto, mal difesi dal freddo, dal vento e dall’acqua, e tra l’avvicendarsi continuo de’ tremuoti” (De Lorenzo).
Appena fatto giorno, la campanella liturgica dava l’annuncio dell’inizio della celebrazione Eucaristia all’altare maggiore, ove era esposta l’immagine della Madonna della Consolazione. Sul finire della Messa una cupa e poderosa scossa sismica ha fatto tremare dalle fondamenta il luogo sacro, provocando un urlo di terrore nei convenuti. Subito il guardiano dell’Eremo saliva sul pulpito, esortando tutti ad abbandonarsi alla materna protezione di Maria e a confidare nella misericordia divina. Come d’incanto la serenità tornava a regnare sui volti smarriti dei fedeli, senza che alcuno si precipitasse all’aperto, in cerca di maggiore sicurezza.
Terminata la celebrazione Eucaristica, il venerato Quadro, che ancora non disponeva di una propria vara, è stato collocato su una leggera base lignea, addobbata con ceri e fiori artificiali e portata a spalla dai guardiani cappuccini, rispettivamente, dei locali conventi, detti Luogo vecchio (Eremo) e Luogo nuovo (dedicato all’Immacolata).
La processione, preceduta dal clero e dai religiosi, si è snodata imponente per il gran numero dei fedeli e pellegrini, venuti anche dai paesi vicini, e giunta in Cattedrale il padre Ludovico Diano, guardiano del convento dell’Immacolata, aveva appena cominciato a predicare, quando è stato colto da una viscerale commozione che lo ha costretto a scendere dal pulpito. Salitovi il Rettore del Collegio Teologico di nostra Signora del Rosario, ha dovuto, dette alcune espressioni, abbandonare, coinvolto dal pianto dirotto dei presenti. D’altra parte quale predica migliore e più efficace di quella di un popolo la cui fede si manifestava in modo così intenso ed edificante?
I cappuccini, che non riuscivano a stare lontano dalla Mamma celeste, sono tornati la mattina seguente, con l’abito, in segno penitenziale, cosparso di cenere, con una corona di spine sul capo, una corda al collo e a piedi scalzi. Sull’esempio dei cappuccini, tutti gli ordini religiosi e le congregazioni laicali hanno realizzato simili pellegrinaggi penitenziali.
Nel frattempo le notizie, rilevati con previsione i danni sismici da parte del personale ministeriale, incominciavano precise e dettagliano. Si è saputo così che nella vicina Fiumara di muro erano crollate la Torre della chiesa matrice e numerose abitazioni, mentre il Castello era stato gravemente lesionato. La rilevazione dei danni negli altri villaggi s’attestava sugli stessi standard: solo le costruzioni più resistenti avevano resistito alle ripetute scosse, per cui tantissime famiglie avevano perduto, totalmente od in parte, le loro povere abitazioni.
Dalla vicina Sicilia, le notizie sopraggiungevano assai più funeste, in quanto l’epicentro tellurico era stato nel territorio di Val di Noto, radendo al suolo Noto, Catania, Siracusa, Modica, Augusta e Taormina; oltre settanta, tra villaggi e borgate semidistrutti, hanno riportato ingenti danni a persone e a cose, mentre le città di Messina e di Palermo i danni erano da riferirsi alle sole costruzioni, che, per la loro struttura solida, hanno evidenziato qualche parziale crollo e alcune lesioni.
Nella conta generale i morti sono stati circa centomila, mentre i feriti circa ventimila. Un numero, comunque, abbastanza elevato, rapportato al numero degli abitanti.

L’impreziosimento del Quadro e l’istituzione della festa settembrina
Nella città dello Stretto, invece, non si è registrato, al di fuori del normale spavento, alcuna conseguenza dannosa significativa sia in riferimento alle strutture che in riferimento alle persone. E ciò nonostante le decine e decine di scosse telluriche e lo scrosciante uragano verificatisi durante la notte dell’11 gennaio 1693. Per cui il grido al miracolo è stato unanime.
Di fronte a questo nuovo prodigio, nel cuore dei reggini è sgorgato spontaneo un rinnovato senso di filiale gratitudine alla Madre della Consolazione concretizzato in una serie di iniziative, alcune delle quali da perpetuare nei secoli.
Per prima cosa i tre Sindaci, nella tornata assembleare del 15 febbraio dello stesso anno (come risulta da un atto pubblico redatto dal regio notaio Vincenzo Siclari), hanno deliberato una liturgia commemorativa da celebrarsi l’11 gennaio di ogni anno, demandando i particolari della cerimonia al Magistrato, il cui schema risultava poi essere il seguente: la mattina, santa Messa sia al Santuario che in Cattedrale, con l’intervento ufficiale, in quest’ultima, delle Autorità civili; il tardo pomeriggio, canto del Te Deum, in ambedue i Luoghi sacri, accompagnato dal suono delle campane ecclesiali e dallo sparo di fuochi artificiali, in più punti della città. Detta commemorazione è stata tenuta viva fino al catastrofico sisma del 1783, in occasione del quale è stato aggiornato il rito, come vedremo, celebrandolo fino al 1883.
A seguire, “si pensò da’ nostri a un’artistica decorazione del Quadro, la quale desse buona vista nelle processioni. Fecesi quindi una pubblica colletta, e col denaro raccolto si costruì la prima ricca cornice d’argento, a doppia faccia; e per camparvi in alto il Quadro, fecero un’elegante base di legno a vernice d’argento e d’oro. Una serica corona purpurea con ricami d’oro fu sospesa innanzi alla S. Immagine per dono del Capitolo e del Clero del Duomo; e il Municipio pose per parte sua due corone d’argento sul capo della Vergine e del S. Bambino” (De Lorenzo).
Queste due corone sono state, successivamente, sostituite con altre due realizzate in oro dalla Duchessa di Precacore, adempiendo, in tal modo, un voto fatto in precedenza.
Infine, la celebrazione della festa di ringraziamento, organizzata con una solennità mai vista prima, tanto da passare ai posteri come il Trionfo di Reggio o Trionfo di Maria (De Lorenzo).
Era stato Innocenzo XI a volere che nella Chiesa universale si celebrasse la festa del S. Nome di Maria la domenica immediatamente l’8 settembre, quale ringraziamento al Signore che, per intercessione della Madonna, ha liberato dai turchi Vienna nell’anno 1683.
Dieci anni dopo, e cioè nel 1693, i frati cappuccini hanno domandato alle competenti Autorità che la festa della Madonna della Consolazione si celebrasse nello stesso giorno, ritenendo che non vi fosse altra ricorrenza più congeniale al titolo della nostra Protettrice. Così la grande festa di ringraziamento, che fino allora si celebrava il 21 novembre, è stata trasferita a settembre.
L’istituzione di tale storico evento religioso l’aveva tramandata ai posteri nella Relazione, inviata all’allora Ministro Generale dei Cappuccini, il Ministro Provinciale, padre Ludovico da S. Agata, e portata, personalizzandola, alla popolare conoscenza Mons. Antonio Maria De Lorenzo, Arcivescovo titolare di Seleucia Isaurica, nella sua nota opera: Nostra Signora della Consolazione Protettrice della Città di Reggio in Calabria. Quadretti storici. Assaporiamone anche noi il racconto di Mons. De Lorenzo, la cui immediatezza di linguaggio e maestria di stile lo rende assai suggestivo e nostalgico. “Alla solennità dunque si prepararono con celebrare religiosamente i sette sabati precedenti, con che fu inaugurato anche questo dolce costume, che in fino a noi trasmesso, durerà in perpetuo nella pietà de’ figli. L’ultimo sabato, che fu la vigilia del Sacro Nome, la Metropolitana era già tutta internamente rivestita di drappi e veli dorati. L’intera città, poi, e nelle vie e nelle piazze, era ornata di archi e festoni, formati con verdi rami, e di arazzi vistosi e cortinaggi che pendevano dai balconi, mentre qua e là trofei di stendardi e banderuole davano vita al giocondo apparato col muoversi continuato sotto l’alito della brezza del canale. Ventiquattro altari sotto padiglioni sorgevano per le piazze ed i crocicchi, in ognuno de’ quali stava dipinta a guazzo qualche storia del Testamento Antico, che simboleggiasse i fatti della Vergine. Spiccava tra gli altri un bel trionfo, ov’era dipinta la Madonna apparsa a frate Antonino Tripodi nella peste del 1577. Altri trenta altarini contavansi per dentro le farmacie ed altre officine, e molti altri ancora nelle botteghe degli artieri. E tutti questi altari, venendo a sera illuminati, univano la loro luce alla luminaria esterna della città. Nei veroni delle case agiate ardevano dei torchi di cera; e ad ogni finestra, o pilastro, o sporto di muro, e fin tutto in giro per gli spalti della cinta e de’ baluardi, v’erano accesi dei lampadini ad olio, messi i più in lanterne di vetro o di carte variopinte; sicché faceasi ragione che la piccoletta Reggio di quel tempo risplendeva in quelle sacrate di ben venticinquemila fiammelle.
Né la festa fermavasi a codeste dimostrazioni esteriori; giacché ognuno si studiava di trarne tutta quanta la benefica influenza, a cui sono per sé ordinate le feste cattoliche. Quindi tutto il popolo, sì indigeno come forestiero, fu visto accorrere ai tribunali di penitenza come in tempo di perdonanza generale, e comunicarsi all’altare la mattina della domenica, e distinguersi in tutti quei giorni per composto costume e religioso contegno.
I grandi vesperi in musica furono celebrati la sera del sabato. Alla seguente mattina la solenne messa pontificale, col sermone; durante la quale, al tocco della campana dell’elevazione rispondevano i cannoni de’ baluardi. La festa chiudevasi il lunedì col giro della S. Immagine per la città. E si fu quella una singolare processione; poiché avanti il Quadro e de’ differenti ordini del Clero, e delle comunità religiose, e delle confraternite laicali, messi tutti nelle proprie insegne, aprivano la sfilata, dietro quattro tamburi e quattro persone con torchi accesi, il Principe di Cosoleto, D. Giuseppe Francoperta, che recava il primo gonfalone, e poi, per coppie con cero acceso, duecento gentiluomini in cappa e spada. Quando l’Immagine di N. Signora apparve sulla porta del Duomo, tutto il popolo in una commozione entusiastica si diede a gridare fragorosamente l’evviva Maria! Finché le voci vennero coperte dal rombo de’ cannoni, dallo strepito de’ mortaretti e dal doppio festoso de’ sacri bronzi in quella che il Quadro scendeva maestosamente per l’alta gradinata del nostro Duomo.
Nel pomeriggio del mercoledì seguente il Quadro veniva restituito con l’usata pompa al Santuario, salutato lungo il ghiaroso letto del Caserta dal continuo fuoco de’ mortaretti e de’ fucili de’ cacciatori, postati su tutti i ciglioni delle vicine alture”.
La descrizione di questa memorabile festa pone in evidenza, anzitutto, lo spessore della fede dei reggini, palesato con la corale partecipazione ai sacramenti e all’addobbo coreografico delle case e delle strade e, in modo ancora più convincente, con l’erezione di una miriade di altarini in ogni angolo della città. Poi l’edificante fede dei Sindaci con il consiglio e del Magistrato, i quali, nonostante la povertà delle casse comuni, hanno organizzato nei minimi particolari e con la massima solennità ogni evento liturgico, a cui hanno, poi, presenziato in forma ufficiale. Infine, la presenza ammirevoli di numerosissimi pellegrini venuti dai paesi vicini, i quali, con in cuore la più solare delle gioie, hanno inteso attestare alla Vergine della Consolazione il loro fervente amore devozionale.
E’ in questa straordinaria istituzione che si radicano i sette sabati, che preparano alla più importante solennità religiosa reggina, vissuti, per svariati lustri, da tutto il popolo reggino e dai devoti forestieri, in formazione di gruppi spontanei e quasi tutti a piedi scalzi, come un appuntamento sacro e, quindi, da non perdere. Un testimone, questo, che, con l’evoluzione dei tempi, è andato, purtroppo, via via dissolvendosi, nonostante gli orari delle funzioni liturgiche siano stati resi meno penitenziali.

(Continua)

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