A Maria SS. Consolatrice Patrona di Reggio
 

La nostra Festa
nella festa anniversaria del settembre 1894

Salutiamo la nostra festa, la tradizionale festa di Maria Consolatrice! Suol chiamarsi tra noi la Festa della Madonna, quasi fosse l’unica solennità che quì si celebri alla Regina del cielo; mentre è detta così quasi la festa per eccellenza. E’ detta ancora, massime nei dintorni e in tutte le calabrie e la Sicilia, la Festa di Reggio, come quella che onora la Vergine sotto il titolo tutto nostro, e che è legato intimamente alle nostre più belle ricordanze religiose e civili.

Il ritorno di questi giorni per noi tanto solenni è come una nota soavissima che nella sinfonia or calma, or lugubre della vita, si ripete con felicissimo ritorno e tutta ci commuove di gioia e di speranza l’anima entusiasmata.

Chi vola sui treni a vapore spesso traversa lande sterili, e deserte; non fiori, non verzura; non contadini né uccelli. E’ una monotonia stucchevole, pesante, noiosa: l’aria è morta, e il fischio della locomotiva ha non so che di sinistro. Ma ecco una stazione che sorge come oasi in quel deserto: lì intorno gli eucaliptus dal verde-cupo fogliame, le aiuole ben disposte e innaffiate, la verzura, i fiori fan trarre come un sospiro di soddisfazione e di pace; ma sono appena pochi minuti, e poi si parte di nuovo; di nuovo il deserto e l’aria morta.


Non mi dite che fantastico; la vita dei popoli oggi è veramente una rapida corsa in mezzo a landa sterili e desolate. Questa corsa però suol trovare anch’essa le sue stazioni, circondate di freschezza e di verzura. Sono le feste popolari queste fortunate stazioni della vita. Per quei momenti si dimenticano le noie del passato, rimangono velate le apprensioni dell’avvenire. E’ come un sospiro che si trae dal fondo dell’anima che, quasi facendo un po’ di sosta sull’affannosa via, pare che esclami: - Ah finalmente! riposiamo un istante!... prendiamo un po’ di svago e di lena!


Ma le feste popolari, quando non sono sposate al sentimento religioso, quando sono puramente, come suol dirsi, civili, e si riducono a un che di convenzionale e nulla più, allora non sono un vero sollievo dell’anima, che anzi per molti riescono un crucio più doloroso, più crudele. Non tutti possono divertirsi a un modo: quindi le feste civili son come le serate di ballo che si tengono entro le lucenti sale dei signori. Il popolo sta fuori e sente solo qualche ondata di musica, o qualche vivo scoppio di risa allegre, che gli eccitano più cupa l’invidia e più amaro lo scontento.


Invece la festa religiosa che si sviluppa dal tempio e si colora di musica e luminarie per le vie e per le piazze, è veramente festa del cuore, ove ognuno trova la parte sua; è sinfonia che si spande per tutti melodiosa coi suoi  irabili accordi di ricordanze soavissime, di speranze immortali.


In siffatte felicissime ricorrenze la festa civile è come il commento alla festa religiosa; è la espansione del gaudio santo che, emanando dal tempio, satura di sé l’ambiente cittadino e quindi circola per le vie, penetra nelle famiglie, s’insinua nei cuori, e tutto veste di giocondità insolita, e brilla, come raggio che si centuplica riflettendosi dall’uno all’altro sui volti sorridenti.


E la nostra festa è religiosa e civile; è l’eco di più secoli, è il canto di parecchie generazioni che sorge in questi giorni a ricordarci la fede e la pietà dei  nostri padri, sposata al patriottismo santificato da quella religione che ogni sentimento nobile purifica e benedice.


Son quattro giorni di letizia generale che in certi  omenti diviene addirittura elettrizzante: e questa letizia si sviluppa dalla nostra veneratissima immagine di Maria della Consolazione. Quella pittura che presenta l’immagine di Maria tenente il braccio il divino Infante, fiancheggiata dalle immagini di Francesco d’Assisi e di Antonio di Padova, mentre due angeli sostengono in alto una corona - quella pittura tutte ombre e già annerita dal tempo, è come un centro magnetico potentissimo che attira soavemente i cuori; è una corrente che da lei si svolge e investe tutti, sicché anche non volendo, appena essa mostrasi all’estremità del nostro corso, nella sua ricca argentea cornice, mentre suonano le bande musicali, e il popolo, fremente di entusiasmo, grida: Viva Maria! è come un brivido misterioso che invade tutti. Il popolo piange di gioia, i bambini guardano come sbalorditi, i forastieri si sentono entusiasmati, come fosser tutti reggini, e i ribelli al soprannaturale si inchinano anch’essi riverenti.


Ma qual segreta virtù nasconde in sé quella tavola di noce che ha tanta potenza da commuovere ogni anno e in modo cotanto straordinario ogni classe di persone?


Il momento più epico della nostra festa parmi sia nell’ultima sera: la facciata del duomo brilla di variopinte fiammelle; tutta la piazza, e la maestosa scalinata dan l’aspetto d’un mare di teste; son migliaia di sguardi che si appuntano alla porta maggiore del tempio: una lunga processione si svolge lenta e si avvia al corso: quand’ecco s’ode echeggiare un suon di banda, ogni volto si commuove; l’immagine venerata è apparsa sulla porta del tempio tra lumi e canti, e sembra una visione sublime, resa più fantastica dalla luminaria notturna, da quei suoni echeggianti per l’ampia profondità della notte.


Andate lì a domandare il secreto ascoso in quella dipinta tavola di noce, e la risposta la leggerete sul volto di quel popolo plaudente, anzi la sentirete in voi stessi. E’ la fede che si desta operosa, fervente; la fede ascosa nelle anime e risvegliata dalle scintille che partono dal santo simulacro. E’ quella fede che animava i petti dei nostri padri quando lottavano co’ i turchi e colla peste, colle carestie o co’ tremuoti: 
quella fede che ha circondato di tanti doni votivi, anelli, collane e braccialetti, la sacra Effigie e per cui ogni reggino s’intenerisce e sente come un sussulto di gioia al solo udire il nome di Madonna della Consolazione.

Salutiamo adunque la nostra festa; la festa di Maria Consolatrice. La prima volta che i nostri padri celebrarono questa festa di Settembre, il cui secondo centenario abbiam celebrato nello scorso anno, fu detta il trionfo di Reggio e il trionfo di Maria. E tale è ancora, tale sarà per sempre.


Dopo tante strane vicende la fede reggina trionfa gloriosa nel trionfo di Maria, triofa in questi giorni tanto solenni e giocondi. E se alcuno, dopo tante inutili pruove, si ostinasse ancora ad attentare alla fede reggina, stia sicuro che i figli di quest’alma terra sapranno attingere perennemente da quel santo simulacro la costanza e l’eroismo che attinsero i frati e i prodi giovani reggini che trecento anni addietro, nel settembre del 1594, volsero in fuga l’orda del rinnegato Cicala.


Pertanto, come suole avvenire nelle grandi ricorrenze, più d’uno in questi giorni soavissimi sente in fondo al cuore una domanda, che spesso arriva fin sul labro e stende come una momentanea nube di mestizia sul volto più allegro; la domanda sì mesta: - Chi sa se la vedrò un altro anno?!...


Ebbene, a tutti i nostri concittadini, a tutti i forastieri, nostri ospiti in questi giorni, e specialmente ai nostri cari lettori auguriamo che per molti anni ancora possano bearsi nell’onda soavissima di questi giorni santi, e gustare la gioia della nostra festa solenne. Mentre ai compatrioti lontani auguriamo, che possan tornare a giocondarsi nel gaudio delle patrie sponde, o almeno sentire, per lunghi anni ancora, l’eco lontana della patria festante.

                                                                                                  G. Morabito

(FeC, Anno VI, n. 36, 141)