Le meraviglie di Dio
La persona che si apre totalmente alla Parola di Dio, incarnandola come via, verità e vita, partecipa delle sue meraviglie e dei suoi prodigi, tra i quali vi sono quelli che comunemente chiamiamo miracoli e profezie.
Isolati dal giusto contesto, le cui fondamenta sono le virtù vissute in modo eroico, essi, anche se sensazionali, non sono segno credibile di santità. E’ lo stesso Gesù che ce lo insegna quando dice: «Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? Nel tuo nome non abbiamo cacciato demoni e non abbiamo fatto nel tuo nome molti prodigi?”. Allora dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti! Andate via da me, operatori d’iniquità” (Mt 7, 22-23).
Il Signore adorna anche di questi doni chi veramente vive in intima e umile unione con Lui. Ed è sempre il Signore che, nella sua immensa carità, agisce in e per mezzo di essi, illuminandoli della sua luce di santità, a beneficio dell’umanità, perché possa scuotersi e tornare al suo amore.
La Chiesa, infatti, nell’istruire il processo di beatificazione e canonizzazione di una persona non punta subito la sua attenzione su eventuali miracoli, ma anzitutto e soprattutto sul grado eroico delle virtù. Acquisite ed acclarate, inconfutabilmente, le prove di ciò, cerca ulteriore conferma su eventuali miracoli, e, se riconosciuti tali, ne proclama ufficialmente la santità.
Questo primo importante passo, e cioè il riconoscimento della eroicità delle virtù in padre Gesualdo, la Chiesa l’ha fatto. Rimane ora da fare il secondo passo. Ma, perché ciò avvenga, occorre che il Signore operi nuovi prodigi miracolosi attraverso il Suo servo. Non ci resta, pertanto, che pregare con insistenza e intenso fervore perché il Signore si degni di esaudire il nostro desiderio, e cioè di contemplare nella gloria del Bernini questo illustre figlio della terra di Calabria.
Intanto, volgiamo la nostra attenzione su alcuni straordinari e salienti doni prodigiosi con i quali il Signore ha voluto accompagnare la vita e le opere terrene del Venerabile, per la nostra edificazione umana e spirituale.
Oltre al dono dell’estasi durante la preghiera e, in modo particolare, durante la celebrazione della santa Messa, padre Gesualdo era insignito anche del dono della profezia a cui faceva ricorso ogni qual volta torna utile al bene delle anime. Pria della venuta dei Francesi - testimonia Tommaso Vitrioli - regeva questa città il Brigadiere politico e militare Pinelli; era egli uomo pio e religioso ed avea per suo confessore il P. Gesualdo. Avvicinavasi, anzi era giunto il momento nel quale sollennizavasi la principale Festività della Città di Reggio sotto il titolo di Maria Santissima della Consolazione.
Il Governatore si vide presentare in casa il P. Gesualdo il quale gli fece premurosa istanza perché volesse confessarsi. Scusavasi il Governatore, adducendo per motivo che non era a tal’atto disposto, e trovavasi affollato da molte cure, e dalla venuta di molti forestieri. Il Gesualdo non tralasciò d’insistere, e con soavi e dolci maniere l’indusse a disporsi, ed a ricevere il Sagramento della Penitenza. Intanto con sorpresa e meraviglia del pubblico mentre tutto era cheto e tranquillo, ed il Governatore al termine della processione della Miracolosa Immagine della Madre di Dio, alla quale avea piamente assistito, e dopo lo sparo di un artificio pirotennico di fuoco, ritiravasi in sua casa, ed in mezzo alla publica strada venne colpito da un archibugiata che lo stese al suolo (Summarium 207).
A proposito dei Francesi, riferisce don Giacobbe Merlino quanto confidatogli dal Canonico Seniore della Cattedrale di Reggio, e cioè che avendo il testimone visitato il P. Gesualdo, già ritirato in Convento alla Consolazione in compagnia dei fratelli D. Gaetano e D. Domenico Paturzo, dopo varj discorsi scientifici, cadde il discorso sulle circostanze politiche del Regno di Napoli e dell’Italia.
Si disse dal testimone e compagni al Servo di Dio che i Francesi erano stati distrutti dall’Arciduca Carlo e che avevano già perduta l’Italia. «Nò, rispose il Servo di Dio con tono di voce decisiva, non v’ingannate figliuoli, i Francesi verranno sino a Reggio, io sarò morto, voi preparatevi al martirio». Come infatti il Servo di Dio morì nel 1803 e i Francesi occuparono l’Italia, il Regno di Napoli, e giunsero a Reggio nel mille ottocento sei (Summarim 48).
Come possiamo notare, in questa testimonianza, alla predizione dell’occupazione francese, si aggiunge anche quella relativa alla sua morte.
Oltre a predire eventi tristi, come quelli appena citati, padre Gesualdo preannuncia anche eventi decisamente più lieti, come la nascita di un figlio, le guarigioni di ammalati già licenziati dai medici, ecc. Tantissime le opera, in persona, all’istante. Ci racconta un testimone: Trovandomi nell’età di circa anni quattordici e passando dinnazi a Monastero delle Salesiane di questa Città disgraziatamente mi avvenne urtare in un intoppo, e cadere per terra, e comechè io portava in tasca un coltello a due tagli di lama lunghetta e sottile senza fodero, nella caduta, detto coltello mi si ficcò tutto per sin col manico nel ventre, onde io svenni pel dolore e per lo spavento.
Dopo tanta disgrazia fui portato nel parlatorio di detto Monastero, che si stava fabbricando, ed ivi durante tutta la notte soffrii acerbissimi dolori e spasimi, ove venuti i chirurghi, ed osservata la mia ferita la dichiararono mortale, e comechè non potevano bene osservare il guasto che nell’interno aveva potuto fare il cennato stiletto perché la ferita benché profonda era molto poco aperta per la strettezza della lamina, i Professori avvisavano di aprirla di vantaggio onde poter meglio fare loro osservazioni.
Allora fu che io prima di tanto permettere feci chiamare il Padre Gesualdo, che era il mio confessore, il quale sollecitamente si recò da me ed appressatosi al mio letto mi disse: «Antonio che vuoi?» ed avendogli io narrata la mia disgrazia, e fattagli conoscere l’operazione chirurgica, alla quale io doveva sottomettermi gli esternai il desiderio di confessarmi. Egli mi rispose: «Statti allegro verrai a confessarti in casa dopo che starai bene» e poi alzati gli occhi al Cielo, fatta una breve orazione, e col pollice della destra segnatami la fronte col segno della santa Croce andossene via. Allora cominciai a sentirmi meglio, mi alzai tantosto da letto, mi vestii colle mie proprie mani.
Tutte quali operazioni fatte da me alla presenza dei Chirurghi nominati D. Antonio Ospitaliere e D. Gaetano Fucile, ambi oggi morti, avvisarono costoro, che quello era un delirio, che annunziava vicina la mia morte, ma restarono sommamente sorpresi nel vedermi uscire dal detto luogo ed avviarmi senza alcun incomodo alla mia abitazione, e senza aver avuto bisogno di alcuno ajuto o appoggio per il lungo tratto di strada, che dovetti fare per giunger là, e così senza operazione e senza alcuna medela (medicazione) mi trovai perfettamente guarito (Summarium 111-112).
Con un semplice segno di croce sulla parte dolorante della partoriente il Venera-bile restituisce alla normalità l’evento della nascita del figlio, divenuto disperato per la vita di ambedue. Mio suocero fu Antonio Caravaglio e la di lui moglie mia suocera - dichiara un testimone - sorpresa dai dolori di parto, fu costretta di ricorrere all’opera di un chirurgo, il quale fatte le sue osservazioni, trovò che senza un’operazione chirurgica il feto non sarebbe potuto uscire in luce.
Atroci erano i dolori dell’infelice partoriente, e sì per cagione di questi come perchè ella si teneva prossima a morire, tutta la famiglia si scioglieva in lagrime, quando trovandosi appunto in quell’ora a passare per la via della loro abitazione il Venerabile Servo di Dio, venne tosto chiamato in aiuto, perchè si teneva per un uomo miracoloso.
Avvicinatosi al letto della sofferente, questa gli disse: Padre, sto per partire per l’eternità. - Fida in Dio, non morrai: E presa la Croce della sua corona, fece con esse un segno di croce sul luogo del di lei dolore e se ne andò via ripetendo sempre: Figlia non morrai fida in Dio.
Passarono appena sette o otto minuti che mi suocera diede felicemente nella luce un bambino. E ciò fu tenuto da tutti per un miracolo ed io per tale lo giudico, perché credo che sia miracolo quando la grazia ottenuta sta al di sopra delle leggi ordinarie della natura (Summarium 3).
Ma cè un particolare curioso nell’opera benefattrice del Venerabile alle mamme che si trovano in stato di pericolo di morte per non poter mettere al mondo i loro figli: il toccarle o il farle cingere anche con il suo cordone. Quasi a voler legare e portar via il «nemico della vita». Riferisce, a proposito, un altro testimone: Una nobile Signora di questa Città per nome fu Donna Maria Sirti moglie del fu D. Giuseppe Filocamo, essendosi trovata in un grave pericolo di vita per non potersi sgravare, ed adibiti tutti i mezzi dell’arte i quali riuscirono vuoti di effetti fu chiamato il Servo di Dio, il quale appressatosi al letto, dell’inferma, applicato il cordone che portava sull’abito, ed uscito dalla stanza immediatamente la signora partorì ed essendosene il Servo di Dio uscito di casa fu raggiunto nelle scale dal marito di detta signora il quale avendogli detto che lo ringraziava della grazia ricevuta il Servo di Dio rispose «ringraziate a Dio» e si partì (Sumamrium 52).
Un altro stupendo dono che rende gradito agli occhi di Dio e del mondo l’umile frate cappuccino, è quello di attraversare, con fra Mansueto, a piedi asciutti i fiumi ingrossati per le imponenti piogge, tra i quali quello del Calopinace, di Sant’Agata, del Corace e di Ammendolea; o di attraversare lo stretto di Messina sul suo mantello adattato ad imbarcazione. Ecco come ci tramanda il suggestivo evento il canonico dittereo di Santa Maria della Cattolica di Reggio Calabria, don Consolato Laganà: Pochi anni addietro un nostro paesano a nome Giuseppe Lipari, vecchio tuttora vivente, mi disse che il fu suo genitore Fabrizio gli aveva raccontato, che un giorno avendo il Servo di Dio tutta premura di recarsi in Messina per predicarvi la Divina parola, non potendo mettersi in barca, perchè at-teso il vento tempestoso nessun marinajo aveva il coraggio di affidarsi alle onde, egli in nulla scoraggiato spiegò sulle acque il suo mantello e detto a Fra Mansueto (suo ordinario compagno) di seguirlo, tutti e due si commisero al mare, ed in breve ora furono all’opposto lido. Il che recò molta meraviglia a quei di Messina, perchè non videro legno dal quale fossero sbarcati, anzi i Religiosi di quel Convento, che non conosco, vedendolo giungere furono sorpresi, dacchè stante un mare così tempestoso non sapevano persuadersi come egli avesse potuto ivi giungere (Summarium 128-129).
A proposito di mare tempestoso, a volte egli viene chiamato per riportare il sereno nella vita di coppia. Narra la signora Fortunata Pieromalli, moglie di Nunzio Lacava: Eravi una donna maritata la quale dal suo Consorte era tenuta in continua guerra, perchè la credeva a lui infedele. E diceva che il bambino da fresco da lei dato alla luce non fosse suo. La povera donna non potendo più soffrire tanti strapazzi ed ingiurie si recò dal P. Gesualdo narrandogli le sue amarezze e pregandolo che le desse qualche conforto o consiglio, cui il Servo di Dio rispose: «fa venire da me tuo marito, e portami il bambino»: il che eseguito il Servo di Dio richiese al bambino in fasce, lattante, che dichiarasse chi fosse il suo padre, e tosto l’infante stendendo la manina indicò il suo genitore, e disse questi è mio Padre, ch’era il marito di detta donna. Non ho indicati i nomi di detti marito e moglie perchè non li so. Questo avvenimento per quanto mi sappia, veniva spesso rammentato in S. Cristina dalle persone anziane che avevan conosciuto personalmente il Servo di Dio (Summarium 237-238).
Meravigliosi anche i prodigi che padre Gesualdo opera nel campo della provvidenza.
Un giorno i frati non hanno di che mangiare ed ecco arrivare al convento due vetture cariche di ogni ben di Dio, senza sapere chi le mandasse.
Una volta il fratello canovaio - racconta un testimone - essendo andato di buon mattino nell’attiguo orto, nulla aveva trovato per la minestra di quel giorno: ricorse al Padre Guardiano, che era il Venerabile Padre Gesualdo, il quale dissegli: “Ma vedete nell’orto che ancora vi sono i cavoli”. A cui il fratello insistendo, diceva di nulla aver trovato nell’orto; tuttavia vi andò e trovo tanta abbondanza di minestra che si poteva tagliare con la falce, e questa servì per la comunità e per i poveri (Summarium 33).
Lo stesso prodigio si verifica per il pane. Continua a raccontare, infatti, il testimone: Un giorno mancava il pane per la Communità ed il Venerabile mandò un fratello alla porteria, il quale ha visto un canestro pieno di pane caldo, senza vedere persona alcuna, che lo avesse portato; il fratello esitò a pigliarlo e recatosi al Padre Gesualdo, questi gli ha ordinato di prenderlo, aggiungendo, che la divota che lo aveva portato se ne era ita per non farsi conoscere. Vuotato in canestro ordinò che fosse rimessso sulla porta esterna e poscia disparve (Summarium 34).
Un altro giorno ancora fa mettere a bollire quattro o cinque fave, perchè non vi è altro, e d’incanto il pentolone si riempie tanto da bastare per la comunità e coloro che bussano alla porta del convento per un pò di minestra calda.
Episodi simili se ne contano a decine nei libri del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio. Per cui l’attento lettore potrebbe domandarsi: Come mai il convento spesso rimane senza alimenti?
La risposta è semplice: perché è lo stesso padre Gesualdo che ordina di aiutare tutti i poveri che ricorrono ai frati per avere qualcosa da mettere sotto i denti. E dato che la roba disponibile in convento non riesce a soddisfare le richieste dei poveri, che in massa si rivolgono quotidianamente ai frati, spesso la dispensa resta vuota. Ciò però non costituisce un problema per padre Gesualdo, fidandosi ciecamente della promessa di Gesù a san Francesco, e cioè: “Francesco, io levo ai Frati Minori tutte le cose, in particolare e in comune, perché voglio aver io solo il pensiero di provvedere a questa famiglia. Moltiplichi pur quanto si voglia, e sempre che ella spererà in me e non nella robba, la nutrirò” (Opuscolo su le provvisioni del vitto..., pp. 25-26).
E il Signore mantiene sempre la parola data, non solo, ma confonde l’uomo con una carità di gran lunga più generosa della sua.
Questo lo constatiamo anche dopo la morte del padre Gesualdo nei numerosi prodigi di carità operati da Dio a beneficio delle anime, che noi possiamo leggere nei volumi della causa di beatificazione e canonizzazione. Qui ne pubblichiamo alcuni per rivivere l’illuminante e feconda presenza di padre Gesualdo e affidarci alla sua intercessione, aprendoci con più confidenza alla bontà misericordiosa del Padre, il quale non desidera altro che dare la vita e darla in abbondanza (Gv 10,10).
A cura di P. Giuseppe Sinopoli
"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".