La sofferenza per la salvezza
Ad inizio settimana santa presso la Cappella degli Ospedali Riuniti, nonché Cappella Giubilare, si è vissuto un intenso momento di raccoglimento orante e misericordioso in occasione della santa Messa di Precetto Pasquale presieduta da sua Ecc. Mons. G. Fiorini Morosini e concelebrata da Don Stefano Iacopino e Padre Antonio.
Per l’animazione liturgica è stato invitato il Cenacolo "Maria Consolatrice".
Dopo i saluti di rito del personale e dei volontari, la funzione si è svolta con partecipazione attiva da parte di tutta l’assemblea che, al fine delle letture del giorno, ha seguito attentamente l’omelia del Vescovo, incentrata sul coraggio e sulla forza dei cristiani a discapito di ogni tipo di difficoltà. L’ispirata riflessione l’ha colta dalla prima lettura del libro di Isaia, un passo che sarà richiamato anche durante la funzione del Venerdì Santo, e che è stato definito come il quinto Vangelo per la similitudine raffigurativa con la Passione di nostro Signore.
Il “canto del servo” è una trasposizione delle difficoltà che Isaia ha incontrato nell’annunciare la Parola, della sua fatica nel mettere in pratica ciò che Dio gli chiedeva. A maggior ragione le parole del profeta sono ancora più vicine a tutte le delicate storie che si possono “incontrare” in ogni stanza dell’ospedale, ma anche a tante altre pagine di sofferenza e dolore, come l’attuale azione terroristica, veicolo perenne di morte, o il tema scottante dell’eutanasia.
L’Arcivescovo ha, poi, evidenziato come in tutte queste storie riecheggia spesso una domanda forte e allo stesso tempo drammatica: “A cosa serve tutta questa sofferenza?”, alla quale spesso se ne lega un’altra ancora più profonda: “Dio che fa?”.
La risposta non è semplice e può trovare terreno fertile solo nella contemplazione della Passione di Cristo che ci rende cristiani attivi e proclamatori della vita, ma soprattutto capaci di capire, e far capire, che non possiamo affrontare niente senza accettare la Croce. Oggi troppo facilmente cadiamo nella tentazione del lamento e ci dimentichiamo della costante vicinanza di Gesù, “uomo dei dolori che ben conosce il patire […] trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità” (Is 52, 3.53, 4). Da qui la forte esortazione del Padre e Pastore a meditare, in modo umile e non emotivo, il mistero della salvezza che passa inevitabilmente attraverso la sofferenza, le fatiche del nostro quotidiano e di quello dei nostri cari.
“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, non porta frutto […], è Lui il chicco di grano [..] e quella morta ha prodotto per noi la salvezza”.
Sua Eccellenza ha concluso l’omelia precisando che il Signore non chiede soltanto l’accettazione della sofferenza, bensì un atto di fede ancora più alto che vince l’ostacolo del dubbio sull’utilità degli impedimenti di qualsiasi natura, con la certezza che anche la nostra sofferenza è un frutto di bene.
“Se la Tua morte e la Tua sofferenza ha avuto un significato per tutti noi, lo avrà anche la mia di sofferenza, anche quella che momentaneamente sembra assurda, inspiegabile, ingiusta, inutile. Noi dobbiamo riacquistare il senso cristiano della vita, […] perché abbiamo perso il senso cristiano del dolore e della morte”.
Daniela Labate
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".