Opuscolo II: Circa la mutazione degli Abiti

L’Opuscolo ha non presenta alcuna articolazione tematica, ma espone in un unico articolo, a guisa di piccolo trattato, la complessa vicenda della mutazione dei panni “vili e rozzi” in abiti più gentili.
La richiesta è stata sollecitata, mediante petizione sottoscritta da alcuni capitolari, al nuovo Definitorio Provinciale eletto durante il Capitolo elettivo che si è celebrato in Montelione (oggi Vibo Valentia) nel 1748. Non convenendo ad un accordo autorevole, si è pensato di far ricorso alla Curia Generale, la quale, attraverso il Procuratore e Commissario Generale, P. Ludovico da Torino, ha concesso il permesso con apposito Rescritto, datato 6 Giugno 1748.
“Avuto il Rescritto – scrive P. Raimondo da Castelbuono – a firma del procuratore generale, il provinciale mise in moto la macchina per realizzare l’impresa. Si diedero disposizioni di vario genere, si fecero venire frati da altra provincia, per istruire i frati addetti alla lavorazione della lana, si acquistarono gl’impianti ed attrezzi necessari, ecc., affrontando enormi spese. Intanto, chi per autentico zelo, chi per puntiglio, chi richiamato alla realtà di certe conseguenze impreviste, chi per ragioni poco chiare, molti frati, più di quanto si potesse pensare, cominciarono a tempestare di lettere e ricorsi la curia generale; non mancarono anche ricorsi anonimi, che non potevano che indisporre i superiori generali. Ma tutto questo tramestio non ottenne altro effetto che di tenere la provincia in vivo e pericoloso fermento, con grave turbamento della carità e della pace.
Tant’è vero – commenta amaramente e severamente P. Gesualdo, rievocando, a distanza di molti anni, il corso di questi eventi – che ‘a gittar una pietra in un pozzo basta un pazzo, a cavarla poi fuori cento savi non son bastanti’.
Egli intanto, appena ordinato sacerdote, entra con ardore nel pieno del problema. Non fa ricorsi, che riconosce inutili; ma chiede consiglio a chi può e deve darglielo autorevolmente, per salvare la sua tranquillità di spirito.
Egli esamina le ragioni che, a suo parere, si oppongono alla mutazione: ragioni, che riguardano soprattutto le interpretazioni autentiche della Regola minoritica, contenute nelle dichiarazioni pontificie, lo spirito di povertà e di penitenza, lo spirito di umiltà, ecc.; non omette di ricordare che, fra le ragioni, che decisero i primi frati calabresi a separarsi dai frati dell’Osservanza, fu proprio il fatto che questi si erano adattati a portare panni meno ‘vili’ dei panni tradizionali, per motivi identici a quelli addotti dai moderni riformatori... retrogradi, e con identiche argomentazioni, validamente respinti allora; né tace dello ‘scandalo dei secolari, come da molti – dice – ho inteso colle mie orecchie’.
Così ha modo di chiarire anche la vera portata della povertà serafica, fatto interiore, legato all’umiltà interiore ed esteriore, più e prima che alla considerazione economica. Alcuni, infatti, per propugnare la riforma, portavano l’argomento del notevole risparmio finanziario, che si sperava di realizzare, in vista della maggior durata dei nuovi panni. Gesualdo non manca di fare i conti a questi economisti della povertà, mostrando, cifre alla mano, come i loro calcoli non tornino affatto; ma per lui il problema non si pone in questi termini, bensì in termini spirituali, di libertà ed umiltà, che è, poi, capace di avvantaggiarsi del disprezzo stesso del mondo: l’abito del frate minore capuccino dev’essere povero e ‘vile’.”
E’ stato questo un momento storico sofferto ma anche avvincente e di saggio insegnamento, specie per noi posteri.
 
Dalla Prefazione
“Quantunque nelle memorie storiche, che a Dio piacendo si metteranno in registro, daremo di questo punto un distinto ragguaglio; diciamo però per ora brevemente come nell’ottobre del 1748 celebrato in Montelione (Vibo Valentia) il Capitolo Provinciale, si vide in limine capituli andar in giro un Religioso con una supplica in mano, in cui pregavasi la Molta Reverenda Definizione allor eletta d’accordare la mutazione degli abiti rustici fin allora usati in Provincia in altri più gentili, e meno rozzi; si sottoscrissero per la maggior parte i vocali; e si presentò la Supplica in Diffinitorio; ma si trovò delle difficoltà per parte di alcuni Padri, quali non vollero consentire a tal cambiamento come espressamente contrario alle Costituzioni, e come che soglieva a’ frati quella rozzezza del vestire che fu ed era di tanta edificazione al Mondo. All’opposto diceano altri che le Costituzioni non erano finalmente obbligatorie a colpa alcuna, e che la mutazione servirebbe ad uniformarci alle altre Provincie, e a comparire i frati in abito decente e non da romiti. Ma perché niuno avea studiato il merito di tal causa; e perché per giusto giudizio di Dio non si pensò ne pure di studiarla, o di commetterla ad altri che esaminassero la controversia leggendo gli espositori, e le pontificie dichiarazioni, perciò il ripiego che prese un Padre per conciliare ambe le parti si fu di consigliare loro a rimettersi alla decisione del Diffinitorio Generale.
Si fè dunque un’altra supplica dal Diffinitorio Provinciale, in cui esposta la petizione di mutarsi fatta da frati, si dicea, che per esser tra Padri nato disparere, bramavasi dal Tribunale più alto, a cui si rimettevano la decisione del caso cioè se lecita fusse o no tal mutazione, allegando in favore parecchie probabilità, e in contrario le Costituzioni.
Da Roma venne il rescritto: Annuimus juxta petita dummodo servetur uniformitas. Avuto un tal rescritto si mise subito il Provinciale di dar mano all’opera con tutto calore. Intanto il P. Bruno da Simbario Predicatore cominciò a scriver contro, e scrisse a più persone; fra le quali a un Padre di Reggio in fin del cui provincialato si era messa la pedina delle lane. Questo Padre dunque entrato in grave rimorso di coscienza, scrive, e riscrive ad impedire s’era possibile il passo dato, e accoppiato con altri Padri di Provincia, manda una supplica al Diffinitorio Generale.
Tutto fu inutile si perché il rimedio che si cercava era troppo tardi, e si perchè fu egli preso per sospetto, quasi che volesse per puntiglio impedire la mutazione e questo sospetto fondavasi, che detto Padre parlava di zelo dopo che avea peduto la prima causa sostenuta del medesimo con tutto calore con cui pretendea che le tasse da imporsi a’ Conventi per ammassare il contingente necessario alla compra delle lane gentili, dovessero stabilirsi in altra forma di cui per decreto di Roma s’era già stabilito. Sicchè no’ fu ricevuto poi il suo zelo, e molto meno furono uditi il P. Bruno, ed altri ricorrenti ch’erano d’nferior carato. Anzi perchè no’ cessava il detto P. Bruno di far ricorsi fu più volte penitenziato da’ Provinciali in publico Refettorio, ed una volta per ordine del Generale: fu ad tempus privato di predica: e gli fu imposto finalmente precetto che più non parlasse. Il P. Bernardo da Bologna, che consultato da un Diffinitore Generale avea risposto non parergli illecita la mutazione, informato poi meglio delle circostanze della Provincia si ritrattò e quando passai da Bologna egli medesimo da me interrogato mi disse che nel mutarsi la Provincia ha fatto male...”.

A cura di P. Giuseppe Sinopoli

Scarica adesso OPUSCOLO II - fogli 1-9
Scarica adesso OPUSCOLO II - fogli 10-19



"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".

"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".

"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".

"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".

"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".

"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".