Giuseppe, Marco, Antonio, Luca nasce a Nasiti il 18 ottobre 1725 da Francesco Malacrinò e Saveria Melissari. Due giorni dopo rinasce alla vita divina nella chiesa parrocchiale di san Nicolò o dei Bianchi mediante il battesimo, amministratogli da don Cosma Melissari. Padrino è Marco Antonio Piconieri, mentre la madrina è Anna Maria Palladino della parrocchia dei santi apostoli Filippo e Giacobbe.
I genitori di Giuseppe si ispirano costantemente al modello della famiglia di Nazareth, della cui luce si illuminano, riscaldandosi di amore divino e umano, il cuore e la mente. Come Maria, essi si riflettono nel volto splendente del Signore e si pongono in attento e docile ascolto della sua Parola; e, come Giuseppe, si prodigano nel custodire i tesori della grazia dello Spirito, seguendo, passo passo, con amorevole premura Gesù.
A questa scuola esemplare il piccolo Giuseppe si inebria l’anima di santo timore di Dio e di un amore sviscerato verso la Madre di Dio e ne plasma il carattere forte e dolce.
Dal padre (nobile patrizio e capitano della Reale Torre del Cugliari, una delle tantissime sparse lungo la costiera reggina) assimila i lineamenti che lo abilitano all’impegno serio, duro e costante; dalla madre (umile casalinga) assimila i lineamenti che lo aprono alla docilità, alla tenera compassione, alla premurosa accoglienza e all’amabile solidarietà. Da ambedue eredita l’umiltà, la semplicità, la prudenza e il totale abbandono alla volontà provvidenziale e misericordiosa del Padre, che è nei cieli.
Il segreto di tanta solare ricchezza spirituale e umana risiede nel fatto che i coniugi Malacrinò-Melissari hanno saputo costruire la loro casa come “piccola chiesa domestica”, dove la preghiera e le opere di carità eccellono sia per qualità che per quantità. Sono proprio questi valori che plasmano il cuore e la mente del piccolo Giuseppe e che lo accompagneranno in tutti i momenti della sua esistenza.
Raggiunta l’età scolare inizia a frequentare l’oratorio dei Fratelli di Gesù e di Maria, annesso alla chiesa di Santa Maria della Melissa, animata da valenti maestri di spirito i cui insegnamenti segnano la sua infanzia, orientandola verso la vocazione al sacerdozio.
E’ in questo periodo che incontra il giovane chierico filippino, Salvatore Votano, con il quale stringe un legame spirituale e amicale, tra i più preziosi della sua vita. Con il Votano, infatti, Giuseppe si avvia alla conoscenza delle lettere e delle scienze della scuola primaria, manifestando brillante intelligenza e appassionato amore allo studio. Nei momenti liberi da impegni familiari e formativi, Giuseppe corre in chiesa per star in compagnia di Gesù Eucaristia, prendendo alla lettere i consigli del Votano il quale gli aveva detto che è questo il modo migliore per prepararsi a ricevere Gesù sacramentalmente, per la prima volta.
Giunto il giorno tanto atteso (come quello che stanno vivendo 17 bambini della nostra comunità parrocchiale), eccolo, assieme ai coetanei, in ginocchio fra i banchi della chiesa, con le manine giunte e gli occhi fissi sul sacerdote. Il suo volto, estasiato e più radioso del solito, sembra quello di un angelo che contempla la gloria di Dio.
A 8 anni, ed esattamente il 20 settembre 1733, riceve il sacramento della cresima nella Cattedrale di Reggio Calabria, dalle mani di mons. Damiano Polou. Padrino è lo zio paterno Raimondo Malacrinò. E’ la svolta della sua vita. Infatti decide di intraprendere la via del sacerdozio. E’ don Domenico Barilla, canonico e rettore del Seminario diocesano che lo accoglie e lo veste dell’abito clericale.
Il 12 marzo 1740 riceve la tonsura e il 23 settembre dello stesso anno gli ordini minori dell’ostiariato e del lettorato. Intanto s’impegna nello studio della filosofia scolastica presso i domenicani, sotto la guida di padre Domenico Leo, ottenendo generali e lusinghieri riconoscimenti.
Ma già da qualche mese il suo animo viene assillato da un desiderio di maggior perfezione. Non gli basta diventare sacerdote soltanto, bensì sacerdote e religioso: un grande dono che esige la radicale rinuncia ai beni ed agli affetti terreni per dedicarsi interamente al servizio del Regno di Dio. Tuttavia rimane un tantino indeciso ed inquieto riguardo alla scelta della famiglia religiosa. E un giorno, mentre ritorna a casa, incontra due frati cappuccini, che, ricurvi sotto il peso della bisaccia stracolma di carità, con il viso grondante sudore per il gran caldo, con i piedi spaccati per il lungo camminare e con negli occhi il canto della perfetta letizia, risalgono faticosamente, il letto del torrente Caserta per rientrare in convento. E’ la risposta del Signore. Infatti dopo qualche settimana, accompagnato da don Salvatore Votano, bussa alla porta del convento dell’Immacolata Concezione, dove viene accolto dal guardiano dei cappuccini, padre Bernardo da s. Agata. Ha appena compiuto i 15 anni.
Il Ministro Provinciale, padre Ilarione da Feroleto, lo manda al noviziato presso il convento di Fiumara di Muro e il 5 novembre 1740 indossa i ruvidi panni dei cappuccini e gli viene consegnata la Regola del poverello d’Assisi, assumendo il nuovo nome di fra Gesualdo da Reggio Calabria.
Fra Gesualdo si inoltra con umiltà nella grazia del noviziato e si lascia, docilmente, condurre dallo Spirito nelle profondità delle sue ricchezze spirituali ed umane, rispecchiandosi nella sconfinata tenerezza dell’amore divino, nello stupore delle virtù, nella bellezza del carisma e della Regola di san Francesco d’Assisi, nella bontà dello studio e nella gioia della condivisione fraterna, e superando brillantemente tutte le prove a cui vengono sottoposti i giovani aspiranti alla vita religiosa.
L’ascesi nella via della perfezione in lui è così costante ed autorevole che in breve tempo diventa il modello, «non solo – come afferma P. G. Raimondo - del perfetto novizio, ma addirittura del perfetto religioso cappuccino».
Il 5 novembre del 1741 emette la professione solenne. Terminato il noviziato viene inviato nel convento dell’Immacolata Concezione di Reggio per maturarsi negli studi che preparano al sacerdozio, sotto la sapiente guida di padre Ludovico da Reggio. Oltre alle materie filosofiche e teologiche, familiarizza con la matematica, la fisica sperimentale, la storia civile ed ecclesiastica, la lingua greca, ebraica, siriaca, francese, spagnola e tedesca. Non solo, ma le arricchisce di un criterio di critica scientifica che gli consente di riscriverne i testi secondo una metodologia originale ed innovativa, rispetto ai programmi ed agli studi tradizionali.
Che disegno ha il Signore su questo giovane frate minuto e piuttosto gracile di salute, ma dotato di eccezionali carismi, si domandano i Superiori?
Ad alimentare tale stupore concorre la pubblica disputa che periodicamente si tiene fra gli studenti degli istituti religiosi. E’ una competizione di prestigio che ha lo scopo di invogliare i giovani ad impegnarsi maggiormente nei loro doveri.
Questa volta la sorte pone da una parte i domenicani e dall’altra i cappuccini. A rappresentare i cappuccini, il responsabile di formazione, padre Ludovico da Reggio, sceglie fra Gesualdo, il quale, protestando la sua incapacità, declina l’incarico. Ma l’obbedienza glielo impone e tiene una magistrale lezione, suscitando uno stupore incredibile sui volti dei numerosi convenuti.
Ancor prima di essere ordinato sacerdote gli viene conferito, nel 1746, il mandato di insegnare filosofia e scienze affini presso lo Studentato di Reggio Calabria. Lui stesso, come detto, riscrive i testi di filosofia, matematica, fisica, metafisica, logica, etica… “risecando le superflue ed inutili questioni” e arricchendoli di nuovi contenuti su base rigorosamente sperimentale e interdisciplinare, rendendo “la mente più aperta alle stesse scienze sacre”.
La svolta metodologica e l’originale impostazione dei programmi, elaborate da fra Gesualdo con i contributi ricavati dal dialogo con gli studenti e con le personalità del mondo della cultura, non solo esaltano il suo grande genio, ma diventano lievito di rinnovamento nel tessuto formativo degli istituti scolastici.
Il suo spesso scientifico è così elevato che incute soggezione in persone di distinto profilo culturale, come il “sommo” Giuseppe Morisani, il quale, riferendosi a fra Gesualdo, un giorno confida agli amici: “Quel monachello mi dà soggezione, perché nei suoi discorsi scientifici si sublima, come se fosse ispirato da Dio”.
Il settore culturale lo condiziona al di là delle aspettative al punto da mandarlo in crisi. Egli non ha scelto questa strada per emergere come professore e scrittore, ma come servo di Cristo crocifisso e risorto. Non intende sacrificare il ministero diaconale della catechesi, dell’annuncio della Parola biblica e della carità verso i poveri, i malati ed i carcerati. Ma i Superiori, constatando il suo eccezionale spessore culturale, chiedono ed ottengono che venga ordinato sacerdote, nonostante non abbia raggiunto l’età canonica. E il giorno della presentazione della beata Vergine al Tempio, nel 1748, riceve l’ordinazione sacerdotale, celebrando la sua prima messa il giorno seguente.
Nel 1752, terminato l’anno scolastico, presenta al Ministro provinciale, padre Pietro da Scilla, le dimissioni dall’insegnamento. Le motivazioni addotte riflettono il disagio interiore che prova pensando al fatto che, forse, fino ad oggi ha dato troppa importanza al mondo dello studio e non invece alla propria perfezione evangelica.
La perfezione evangelica: ecco la irresistibile seduzione che lo estasia. Intanto le sue condizioni di salute consigliano i Superiori a mandarlo nel vicino convento di Scilla e qui si tuffa con assoluto abbandono alla preghiera vocale e mentale, assaporando la penitenza come dono di concreto amore alla misericordia divina. Si dedica con grande zelo al ministero della predicazione, della confessione, della direzione, attendendo anche alla formazione dei conventi di ritiro onde favorire il ritorno all’osservanza della primitiva vita religiosa.
Il Signore feconda il ministero di fra Gesualdo con prodigi e segni che la mente umana non riesce a spiegare. Basta leggere le testimonianze riportate nel libro del processo di beatificazione dell’uomo di Dio. Memorabili la profezia del terremoto del 1783 e la doppia traversata dello stretto di Messina con fra Mansueto sul proprio mantello per andare a predicare nella Cattedrale.
Soppressi i conventi, rimane nella città di Reggio su richiesta dell’Arcivescovo, continuando la sua diaconia ministeriale e carismatica.
Rifiutata la nomina a Vescovo di Martorano nel 1792, non può sottrarsi ad accettare, per il voto di obbedienza, quella di Ministro Provinciale nel 1801.
Muore, compianto da tutti, il 28 gennaio 1803, all’età di 78 anni, nel convento della Madonna della Consolazione in Reggio Calabria. Lo adagiano su dei nudi tavoloni, con indosso il povero abito, il logoro mantello, il cappuccio in testa, poggiata su una tegola, ed i piedi scalzi, i cui segni penitenziali sono ora visibili a tutti. Prima della sepoltura, gli viene inciso il braccio dal quale fuoriescono gocce di sangue.
Crescendo la sua fama di santità, negli anni 1855-1867 nella Curia di Reggio Calabria vengono introdotti i processi ordinari informativi e aperti a Roma il 4 giugno dello stesso anno. Pio IX, il 27 aprile 1871, segna la Commissione dell’Introduzione della causa. Il Processi Apostolici sulle virtù sono costruiti negli anni 1883-1897.
Il decreto sulla validità dei processi viene emanato il 12 febbraio 1982. E il 2 aprile viene emanato il decreto del riconoscimento circa l’eroicità delle virtù teologali, cardinali e annesse. Si attende ora un miracolo per essere dichiarato beato.
Quest’umile figlio di san Francesco d’Assisi ha lasciato nella storia, per la santità di vita, l’acutezza dell’intelligenza, per il vasto sapere teologico-biblico-scientifico, per la poderosa opera di riforma spirituale, un’orma evidente ed indelebile.
Egli s’impone come un autentico tesoro di grazia e di virtù che indica a noi suoi confratelli del terzo millennio le vie sicure della fedeltà creativa nella risposta alla vocazione francescana; un autentico maestro di vita spirituale da porre in evidenza sul candeliere perché splenda la sua luce nella Chiesa di Dio; un autentico faro di cultura e di scienza in grado di dirigere la ricerca scientifica odierna indirizzandola verso un umanesimo integrale dell’uomo, assetato di progresso e di verità.
Padre Gesualdo fu un uomo di preghiera, apostolo zelante, studioso eccellente, ricercato direttore di anime. Visse tutte queste ricchezze con profonda convinzione e totale coinvolgimento in spirito di servizio e di gioiosa dedizione.
«P. Gesualdo – così Mons. Vittorio Mondello, arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova - fa parte della storia di Reggio Calabria, della quale per tre quarti del secolo XVIII è stato una presenza umile ma insostituibile.
Reggio Calabria attende, perciò, la beatificazione di questo suo figlio come un ulteriore dono che P. Gesualdo le fa per incoraggiare i suoi abitanti a seguirne le orme sulla via della santità.
La sua vita – ancora il padre Ascenzi - può essere raffigurata ad una solenne sinfonia, ricca di tonalità, espressioni, cadenze».
A cura di p. Giuseppe Sinopoli
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".