Rischio ipocrisia (11 settembre 2015): Meditazione di Papa Francesco
 

 

                                        

                      

Cappella "Casa di S. Marta"

(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.207, 12/09/2015)

«Se si trovasse una persona che mai, mai, mai ha parlato male di un’altra si potrebbe canonizzare subito»: è con un’espressione forte che Francesco ha messo in guardia dalla tentazione «ipocrita» di puntare il dito sempre contro gli altri. Invitando, piuttosto, ad avere «il coraggio di fare il primo passo» riconoscendo i propri errori e le proprie debolezze e accusando se stessi. È il consiglio spirituale, centrato su perdono e misericordia, che il Pontefice ha suggerito nella messa celebrata venerdì mattina, 11 settembre, nella cappella della Casa Santa Marta. Perché «l’ipocrisia» — ha ammonito — è un rischio che corriamo «tutti, incominciando dal Papa in giù».

«In questi giorni — ha fatto subito notare Francesco — la liturgia ci ha fatto riflettere tante volte sulla pace, sul lavoro di pacificare e di riconciliare che ha fatto Gesù, e anche sul nostro dovere di fare lo stesso» e cioè «fare la pace, fare la riconciliazione». Inoltre, ha proseguito il Papa, «la liturgia ci ha fatto anche riflettere sullo stile cristiano, soprattutto su due parole, parole che Gesù ha messo in atto: perdono e misericordia». Ma, ha insistito Francesco, «dobbiamo realizzarle anche noi».

E «così — ha proseguito — in questi giorni, la liturgia ci ha portato a pensare questo, a riflettere su questa strada della misericordia, del perdono, dello stile cristiano con quei sentimenti di tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità». Lo stile cristiano, infatti, consiste nel «sopportarci a vicenda, l’uno l’altro»: un atteggiamento che «porta all’amore, al perdono, alla magnanimità». Perché «proprio, lo stile cristiano è magnanimo, è grande».

«Il Signore — ha spiegato il Pontefice — ci ha poi detto che, con questo spirito grande, c’è anche un’altra cosa: quella generosità, generosità del perdono, generosità della misericordia». E «ci spinge a essere così, generosi, e a dare: dare tutto da noi, dal nostro cuore; dare amore, soprattutto». In questa prospettiva, ha aggiunto, «ci parla della “ricompensa”: non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati».

Questo, dunque, ha affermato Francesco, «è il riassunto del Signore: perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato». Ma «che cosa vi sarà dato? Una misura buona, pigiata, colma, traboccante — ha ricordato il Papa — vi sarà versate nel grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi il cammino». Insomma «se tu hai una grande misura d’amore, di misericordia, di generosità, sarai giudicato così; altrimenti, secondo la tua misura».

Così «è il riassunto del pensiero della liturgia in questi giorni» ha fatto presente il Pontefice. Tutti noi, ha commentato, «possiamo dire: “Questo è bello, eh! Ma, padre, è bello, ma come si fa, come si incomincia questo? E qual è il primo passo per andare su questa strada?”».

Proprio nella liturgia, è la risposta suggerita dal Papa, vediamo questo «primo passo, sia nella prima lettura sia nel Vangelo». E «il primo passo è l’accusa di se stessi, il coraggio di accusare se stessi, prima di accusare gli altri». L’apostolo Paolo, nella prima lettera a a Timoteo (1, 1-2.12-14), «loda il Signore perché lo ha eletto e rende grazie perché gli ha dato “fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento”». Questa, ha spiegato Francesco, «è stata misericordia». Paolo «dice di se stesso cosa era, un bestemmiatore, ma chi bestemmiava era condannato alla lapidazione, alla morte». Paolo era dunque un «persecutore di Gesù Cristo, un violento, un uomo che non aveva pace nella sua anima né faceva la pace con gli altri». Ed ecco che oggi «Paolo ci insegna ad accusare noi stessi».

Nel passo evangelico di Luca (6, 39-42) «il Signore, con quell’immagine della pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e della trave che è nel tuo, ci insegna lo stesso: fratello, togli prima la trave dal tuo occhio, prima accusa te stesso; e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Dunque il «primo passo» è: «accusa te stesso».

Così Francesco ha suggerito anche un esame di coscienza «quando a noi vengono i pensieri su altre persone», del tipo: «Ma guarda questo così, quello così, quello fa questo, e questo...». Proprio in quei momenti è opportuno domandare a se stessi: «E tu che fai? Cosa fai? Io cosa faccio? Io sono giusto? Io mi sento il giudice per togliere la pagliuzza dagli occhi degli altri e accusare gli altri?».

Per queste situazioni Gesù sceglie la parola «ipocrita» che, ha fatto notare il Papa, «usa soltanto con quelli che hanno doppia faccia, doppia anima: ipocrita!». L’uomo e la donna «che non imparano ad accusare se stessi diventano ipocriti». Tutti, eh! Tutti! Incominciando dal Papa in giù: tutti!». Infatti, ha proseguito, «se uno di noi non ha la capacità di accusare se stesso e poi dire, se è necessario, a chi si devono dire le cose degli altri, non è cristiano, non entra in quest’opera tanto bella della riconciliazione, della pacificazione, della tenerezza, della bontà, del perdono, della magnanimità, della misericordia che ci ha portato Gesù Cristo».

Perciò, ha affermato il Pontefice, «se tu non puoi fare questo primo passo, chiedi la grazia al Signore di una conversione». E appunto «il primo passo è questo: io sono capace di accusare me stesso? E come si fa?». La risposta in fondo è «semplice, è un esercizio semplice». Francesco ha suggerito questo consiglio pratico: «Quando mi viene in mente di pensare ai difetti degli altri, fermarsi: “Ah, e io?”. Quando mi viene la voglia di dire agli altri i difetti degli altri, fermarsi: “E io?”».

Bisogna avere anche «il coraggio che ha Paolo» nello scrivere di sé a Timoteo: «Io ero un bestemmiatore, un persecutore, un violento». Ma, ha domandato il Papa, «quante cose possiamo dire di noi stessi?». E allora «risparmiamo i commenti sugli altri e facciamo commenti su noi stessi». E così facciamo davvero «il primo passo su questa strada della magnanimità». Perché chi «sa guardare soltanto le pagliuzze nell’occhio dell’altro, finisce nella meschinità: un’anima meschina, piena di piccolezze, piena di chiacchiere».

Prima di proseguire la celebrazione, il Pontefice ha invitato a chiedere nella preghiera «al Signore la grazia — questo è anche il coraggio di Paolo — di seguire il consiglio di Gesù: essere generosi nel perdono, essere generosi nella misericordia». Tanto che, ha concluso, «per riconoscere santa una persona c’è tutto un processo, c’è bisogno del miracolo, e poi la Chiesa la proclama santa. Ma se si trovasse una persona che mai, mai, mai avesse parlato male dell’altro la si potrebbe canonizzare subito. È bello, eh?».

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