Con il Giovedì Santo inizia il Triduo Pasquale, durante il quale si celebra, facendo memoria, il mistero della Passione, della Morte e della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
Questo mistero viene focalizzato dalle tre letture. Nella prima si racconta la prima Pasqua ebraica, consistente nel sacrificio e nella consumazione dell’agnello, “senza difetto, maschio e nato nell’anno,” per ricordare la liberazione dalla liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto. E’ una celebrazione che coinvolge direttamente la persona, per significare che è un evento che “prende” il cuore e la vita, a livello individuale e a livello comunitario: “tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con àzzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore!” (Es 6,12).
“L’agnello immolato, scrive Marino Gobbin, per gli ebrei preservati dallo sterminio dei primogeniti, era diventato segno di salvezza e di liberazione a cui ognuno dei convitati si identificava mediante la manducazione delle carni. Più tardi, quando i profeti annunciarono la liberazione dall’esilio di Babilonia paragonandola a un nuovo esodo, ripresero l’immagine dell’agnello pasquale; in conseguenza di ciò la festa di Pasqua divenne il segno di una liberazione futura, considerandola soprattutto come liberazione dal peccato. Nel Nuovo Testamento, Giovanni indica in Gesù Cristo il vero agnello (cf Gv 1,29). Facendo coincidere la sua morte con l’immolazione degli agnelli pasquali nel tempio, vuol farci comprendere che il rito dell’agnello pasquale ha trovato il suo compimento nel sacrificio di Cristo. Esso procura al nuovo Israele (la Chiesa) la liberazione totale e definitiva e stabilisce il cristiano in una condizione di pellegrino, in cammino verso la terra promessa, dove l’Agnello regnerà per sempre circondato dal popolo che ha redento”.
Nella seconda lettura, tratta da 1Cor 11,23-26, Paolo ci tramanda che Gesù, nell’ultima Cena, ha fatto dono del suo corpo e del suo sangue agli apostoli, insegnando a dare la propria persona in dono agli altri.
Ma è nella pagina evangelica che cogliamo l’intensità e l’immensità di questo dono nelle parole dello stesso Gesù, dicendo: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15). Il desiderio di Gesù è “stare” con i suoi, cioè condividere la sua vita, “diventare” la loro vita. Ovviamente ciò è possibile se si apre il cuore e se anche il cuore “arde” dal desiderio di stare con Gesù, di fare spazio alla sua presenza e al suo dono di amore. Egli vuole dar da mangiare la sua vita: “Questo è il mio corpo, spezzato per voi”; “questo è il mio sangue, sparso per voi”. Così egli si dona in cibo e bevanda. Alimento, medicina e sostegno per tutti, e quindi anche per noi, per curare le malattie, per purificarci dalle fragilità, per liberarci dall’angoscia e dalla tristezza. Non solo, ma ci danno forza e energia per “prendere” la propria croce ogni giorno e seguirlo, cercando le cose di lassù, per servire l’amore e la misericordia, e per “lavarci” i piedi gli uni gli altri.
La lavanda dei piedi, infatti, è un segno vitale del buon vangelo nella nostra vita, perché ci pone al servizio degli ultimi, dei più poveri-poveri, dei deboli, degli indifesi. L’atto di lavare i piedi ci fa “inginocchiare” davanti a chi ha bisogno di amore e di consolazione; è l’atto dell’amore del prossimo che raggiunge la sua pienezza nell’amore di Dio.
Il Gobbin nella meditazione sulla liturgia della Parola di Dio del Giovedì santo, riproponendo alla nostra sensibilità le parole di Gesù: “Il Figlio dell’uomo non venne per farsi servire, ma per servire”; e ancora: “io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27), evidenzia che non si può condividere il sacrificio dei Gesù senza il servire, e cioè senza darsi “in cibo di amore” agli altri, concretizzando “il suo sacrificio di abbassamento, di obbedienza, di umile servizio”.
Tutto questo è stato, con illuminato magistero, enucleato da Papa Francesco con queste parole: “Abbiamo sentito quello che Gesù ha fatto nell’ultima cena; è un gesto di congedo, è come l’eredità che ci lascia; Lui è Dio e si è fatto servo, servitore nostro. E questa è l’eredità: anche voi dovete essere servitori gli uni degli altri. Lui ha fatto questa strada per amore, anche voi dovete amarvi, essere servitori nell’amore: questa l’eredità che ci lascia Gesù; e fa questo gesto di lavare i piedi che è un gesto simbolico: lo facevano gli schiavi, i servi, ai commensali, alla gente che veniva a pranzo o a cena perché in quel tempo le strade erano tutte di terra e quando entravano a casa era necessario lavarsi i piedi. E Gesù fa un gesto, un lavoro, un servizio da schiavo, da servo. E questo lo lascia come eredità fra noi: noi dobbiamo essere servitori gli uni degli altri. E per questo oggi la Chiesa che commemora l’ultima cena quando Gesù ha istituito l’Eucaristia, nella cerimonia fa anche questo gesto di lavare i piedi. Che ci ricorda che noi dobbiamo essere servi gli uni degli altri. Adesso io farò questo gesto, ma tutti noi, nel cuore nostro pensiamo agli altri e pensiamo nell’amore che Gesù ci dice che dobbiamo avere con gli altri. E pensiamo anche come possiamo servire meglio le altre persone. Perché così Gesù ha voluto da noi”.
Far memoria del rito con i bambini del catechismo ci ha fatto sentire la bellezza e il fascino di questo gesto, richiamandoci al bisogno di “diventare” anche noi bambini nel servizio amorevole verso gli altri e, soprattutto, verso il Signore Gesù, che ci comanda di fare come lui ha fatto.
Conclusi i solenni riti, si è distribuito il pane (in tutto 594 tra ciambelle di pane e panini e un pane di sette chili) agli apostoli ed ai presenti, senza dimenticare i malati, gli anziani e i bambini che sono rimasti a casa, perché impossibilitati a parteciparvi. Un’attenzione particolare si è avuta nei confronti degli ospiti dell’Istituto Ortopedico, per i quali è stato consegnato alla sorella Brancati un cesto di panetti.
La celebrazione della liturgia del Giovedì Santo, sostanziata dalla Pasqua liturgica di Cristo, dalla lavanda dei piedi, dalla riconciliazione e dall’istituzione dei sacramenti, ha avuto continuità nella veglia di adorazione Eucaristica, individuale e comunitaria, che si è protratta per tutta la notte, fino alla preghiera dell’Ufficio delle Letture e delle Lodi.
Se vuoi condividere alcuni momenti del solenne rito
clicca su: "Vi ho dato l’esempio..."
e su: Altare della reposizione
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".