"Oggi è nato per voi il Salvatore del mondo, alleluja!" (2011)
a cura di padre Giuseppe Sinopoli
IL PRESEPE DI "S. MARIA MADRE DELLA CONSOLAZIONE"
SI E’ AGGIUDICATO IL PRIMO PREMIO
QUALE MIGLIOR PRESEPE PARROCCHIALE DI REGGIO CALABRIA
Quella notte Francesco, su un altare eretto sulla mangiatoia tra il bue e l’asinello, ha fatto celebrare la santa Eucaristia. Anche noi abbiamo celebrato, ad incominciare dalle ore 23.00, l’Ufficio delle Letture e la santa Messa, lasciandoci avvolgere dalla luce di un raggio della bontà di Dio Padre, rivelataci con la nascita di Gesù, il Salvatore del mondo, come magistralmente ci contestualizza, prendendo spunto dal presepe di Greccio, Papa Benedetto XVI nell’omelia della solenne Liturgia natalizia, di cui stralciamo i seguenti passaggi:
"Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.
Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.
Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.
Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen".
Natale è...
Alle ore 11.00, domenica 25 dicembre, i bambini del catechismo hanno introdotto la solenne Eucaristia con tre messaggi angelici, che sintetizzano quelli che brillano sugli alberi del presepe. Non sono le solite palline di vetro che si gongolano dai rami, tra filamenti dorati e argentati e alcuni fagottini di regali; non è neppure la variforme teoria oggettistica che conferisce al complesso quel silente senso di festa tipica del natale, sormontati da una grande stella o da una decorazione solenne e imponente. I bambini, questa volta, hanno scelto di decorare gli alberi presepiali sostituendo quelle palline fredde e appariscenti, ma anche così fragili, con altre, impresse su tondini di carta, che richiamano i valori caratterizzanti la civiltà dell’amore e dell’essere, che da qualche tempo è messa duramente in crisi dalla feroce avidità dell’avere, gonfiando, come un aerostato, i muscoli del proprio io. Questi bambini, dal cuore innocente e puro, sensibile e dolce, chiedono che l’umanità torni ad essere se stessa, come quando è uscita dalle mani di Dio e che satana è riuscito ad ingannare con lusinghe che altro non erano che le porte dell’infelicità, dell’odio e della morte. Gesù è venuto per aiutare l’umanità a ritrovare la gioia del sorriso, della pace, della gioia, dell’amore. Ha scritto una bambina: "Un giorno quando, guardando dalla finestra, non vedrò più guerre, prenderò un albero, lo vestirò di stelle e quel giorno sarà natale!". Un bambino di nome Luigi riconferma il messaggio appena scritto, sottolineando che "noi ci riempiamo di regali, ma il vero festeggiato è Gesù, ma lui non vuole i regali che riceviamo noi, lui vuole che si faccia del bene agli altri". E ciò semplicemente perché, come ci ricorda Desirée, "natale è amore, allegria e pace perché nasce Gesù Bambino". Questi sono alcuni dei messaggi che i bambini hanno appeso agli alberi. Essi, non vogliono morire martiri dell’efferato egoismo dei grandi e dei potenti, ma vogliono gustare la bellezza delle meraviglie del creato, soprattutto la bellezza della vita con i suoi colori e i suoi sapori, con il suo candore e la sua ricchezza, con la libertà di volare nei cieli azzurri dei sentimenti e dei valori e di essere, ovunque, segno dell’amore di Dio, senza distinzione di nazione, lingua e cultura.
Fermiamoci un pò e cerchiamo di ascoltare le pulsioni del loro cuore, colme di purezza, amore, pace, gioia e bene. E cerchiamo di far patrimonio di questo straordinario tesoro umano, spirituale, sociale e culturale, che essi desiderano condividere con noi. Eccolo:
* "Natale è:
- Amore
- Pace
- Gioia
- Fratellanza e uguaglianza
- Cuore
- Gesù
- Amicizia
- Bene
- Carità
- Costanza
- Dolcezza
- Dono
- Fede e speranza
- Felicità
- Gentilezza
- Pazienza
- Preghiera
- Grazie
- Solidarietà Amicizia Unità Amore Pace
- Augurio".
La suddetta articolazione esplicativa del Natale è stata selezionata e proposta dagli stessi bambini.
IL PRESEPE DI "S. MARIA MADRE DELLA CONSOLAZIONE"
SI E’ AGGIUDICATO IL PRIMO PREMIO
QUALE MIGLIOR PRESEPE PARROCCHIALE DI REGGIO CALABRIA
[Dalla tasca al cuore
(lettura esplicativa)
La riproposizione rituale del presepe è stata pensata e realizzata secondo i canoni esperienziali di quella che Francesco d’Assisi ha chiesto "ad un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore": preparare a Greccio la rappresentazione del "Bambino nato a Betlemme", allo scopo di "vedere, in qualche modo, con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza di cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno fra il bue e l’asinello" (FF 84).
"Vedere con gli occhi del corpo...", e cioè gli occhi che veicolano non i movimenti della tasca, ma i sentimenti del cuore. E’ stato questo il filo conduttore che ha ispirato la selezione degli elementi, nel rigoroso rispetto della sobrietà, della povertà, della semplicità e della natura ambientale; elementi, quindi, riflettenti lo stato originale del loro vissuto, cioè nobile e puro. Come il cuore che si lascia amare e purificare da questo piccolo Bambino, il quale ha portato nell’inferno della schiavitù, dell’odio e della tristezza il paradiso della pace, della gioia e della speranza.
Abbiamo volutamente escluso tutti gli elementi rivestiti da arricchimenti artificiali e ogni elemento ostentante valenze artistico-scientifiche, che avrebbero apportato più folklore e luminosità all’evento, favorendo apprezzamento all’occhio della curiosità, ma, forse, distraendo dallo stupore sgorgante dall’unica e vera Luce che è il Signore Gesù, fattosi piccolo Bambino per squarciare le tenebre della notte e del peccato e per illuminare, all’umanità, il cammino della pienezza di vita e della salvezza.
L’obiettivo che ci siamo posti noi è stato, pertanto, quello di entrare, a piedi scalzi, nell’orbita dell’aspirazione di fede del Poverello di Assisi, e ripercorrere le sostanziali modalità del grande mistero dell’Incarnazione, cercando di "vedere" e di "far vedere con gli occhi del corpo" le reali condizioni in cui Cristo è nato e il contesto umano e ambientale.
Abbiamo così formato la capanna con legni poveri, cortecce d’albero, e palme: i legni ci richiamano l’essenzialità, la sobrietà; le cortecce d’albero, la precaria difesa dal freddo e dai predoni; le palme, l’osanna e il crocifigge della Domenica delle palme, portale d’ingresso della grande settimana santa, cuore dell’anno liturgico-pastorale.
La paglia sparsa per terra nella capanna e nei pressi, come pure nella vicina piccola casetta rurale, sta ad indicare il segno della fragilità e del lavoro forzato degli ebrei in Egitto, quindi segno di schiavitù, di sofferenza e di morte. Gesù, adagiato sulla paglia, ci annuncia che Egli ha assunto la nostra condizione umana e si è addossata la nostra schiavitù per divinizzare la prima e per liberare la seconda.
Non ci sono strade che portano alla capanna, a dimostrazione che l’uomo senza Gesù, che è via-verità-vita, si avventura in deserti vuoti, come il tratto dietro la capanna, e deserti intervallati da presenze, come i ciuffi di erba e l’albero secco, ostili alla felicità dell’uomo, ma che egli deve superare se vuole sopravvivere. Il cammino che porta alla capanna necessita della Luce-Gesù o della stella, come quella che guiderà il cammino dei Magi.
La piccola casetta rurale ha bisogno delle canne assicurate ai legni per ripararsi dalle tempeste di sabbia desertica e dalle aggressioni dei ladri. Non canne sbattute dal vento, ma "canne" sostanziate dalla Parola di Dio e dalla forza profetica di cui esse sono animate. La simbologia ci conduce a Giovanni Battista, elogiato da Cristo non come una canna sbattuta dal vento, ma come il più grande profeta nato da donna.
In alto, c’è un villaggio in festa, intento alle proprie cose. Nessuno degli abitanti ha offerto un decoroso locale, segno del proprio cuore, dove far nascere il Figlio di Maria e Giuseppe. Accanto e in prospettiva palazzi, case e alberi: tutti estranei al grande evento divino atteso da secoli.
A ridosso, un ampio e profondo abisso (il dirupo montagnoso) separa i due mondi: quello degli uomini e quello di Dio. E’ sempre l’uomo, istigato dal demone del male, che scava gli abissi tra lui e il creatore, tra il bene e il male.
I due abeti, segni del natale umano, collocati ai lati dei paesaggi, sono stati addobbati dai bambini del catechismo, i quali hanno pensato di non ricorrere agli elementi tipici degli alberi di natale, presenti anche nelle nostre case, ma di ornarli con parole, pensieri, preghiere ed auguri dettati dal proprio cuore. Un cantico che si armonizza a meraviglia con la lode degli angeli, recanti l’annuncio del natale ai pastori. I quali, assieme alla gente comune, prontamente si incamminano verso la grotta, portando il frutto del loro lavoro, della terra o della pastorizia, e chi non ha niente solo l’ansioso desiderio di accoglierlo fra le sue braccia e stringerselo al cuore.
E’ il dono migliore che si possa offrire al bambin Gesù, in cerca non di effetti luminosi e artisticamente pregevoli, ma di semplice, puro e umile affetto. A significare che il vero natale non si fa con la tasca, ma col cuore. E allora sì che i nostri occhi si estasiano di fronte al presepio, e lo spirito, come quello di san Francesco, vibra "di compunzione e di gaudio ineffabile", mentre la notte "sembra tutto un sussulto di gioia".]
Come Francesco
Anche quest’anno nella nostra Basilica dell’Eremo della Consolazione, come da consuetudine, abbiamo rinnovato, con elementi essenzialmente poveri, sobri e naturali, la tradizione del presepe, ispirandoci alla rappresentazione voluta da Francesco d’Assisi e realizzata in Greccio, nella valle aretina, dall’amico Giovanni Velìta, un ricco signore della regione e assai timorato di Dio. Scopo dell’iniziativa era quella di riproporre al "vivo" il mistero dell’incarnazione di Betlemme, e cioè "vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per le mancanze delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello".
Approntata ogni cosa, invitata la gente del luogo e fatti convenire i frati dai vari conventi della regione, si è così dato vita, con l’autorizzazione di Papa Onorio III, al primo vero presepe. Era la sera inoltrata del 24 dicembre 1223. In quella sublime mistica notte, era talmente ardente l’amore spirituale dei presenti che tutto sembrava infuocato, da apparire in lontananza come un grande incendio. Il Celano ci tramanda che uno dei presenti, rapito dall’estasi, "gli è parso di vedere Francesco destare dal sonno profondo il Bambinello", il quale, sorridente, ha benedetto tutti gli astanti, fra il gaudio ineffabile generale.
Ecco come Tommaso Celano, al capitolo XXX della Vita Prima, ci trasmette lo straordinario evento del presepe di Greccio:
" La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen."
Nel riproporre la tradizione del presepe, ci siamo avvalsi della collaborazione dei bambini del catechismo, i quali, sotto lo sguardo amorevole delle catechiste, hanno richiamato, mediante i colori, alcune tappe importanti del cammino di salvezza, dal peccato originale fino all’evento del Natale. Tali tappe hanno trovato il culmine nell’incarnazione di Gesù, rappresentata scenicamente all’interno di una capanna ricoperta da rami di palme, richiamanti il giorno dell’osanna e del crucifigge. Questo sorprendente evento ci ha indotto a strutturare il complesso rappresentativo del presepe secondo i lineamenti della sobrietà, della povertà e della semplicità, e ciò non solo alla luce del mistero dell’incarnazione in quanto tale, ma anche in riferimento alle condizioni di estremo sacrificio e disagio che sta vivendo la nostra società, recepiti e concretizzati al meglio da Mario, Nicola, Lorenzo, Arturo, Franco, Nino, Fortunato, Carmelo, Vittorio, Gelsomino, Antonio e Giuseppe. Significativi, infine, lo striscione del canto angelico e le decorazioni degli alberi, curati da Domenico e Tina, accompagnati da massime evangeliche.
"La Festa delle feste"(lettura esplicativa)
La riproposizione rituale del presepe è stata pensata e realizzata secondo i canoni esperienziali di quella che Francesco d’Assisi ha chiesto "ad un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore": preparare a Greccio la rappresentazione del "Bambino nato a Betlemme", allo scopo di "vedere, in qualche modo, con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza di cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno fra il bue e l’asinello" (FF 84).
"Vedere con gli occhi del corpo...", e cioè gli occhi che veicolano non i movimenti della tasca, ma i sentimenti del cuore. E’ stato questo il filo conduttore che ha ispirato la selezione degli elementi, nel rigoroso rispetto della sobrietà, della povertà, della semplicità e della natura ambientale; elementi, quindi, riflettenti lo stato originale del loro vissuto, cioè nobile e puro. Come il cuore che si lascia amare e purificare da questo piccolo Bambino, il quale ha portato nell’inferno della schiavitù, dell’odio e della tristezza il paradiso della pace, della gioia e della speranza.
Abbiamo volutamente escluso tutti gli elementi rivestiti da arricchimenti artificiali e ogni elemento ostentante valenze artistico-scientifiche, che avrebbero apportato più folklore e luminosità all’evento, favorendo apprezzamento all’occhio della curiosità, ma, forse, distraendo dallo stupore sgorgante dall’unica e vera Luce che è il Signore Gesù, fattosi piccolo Bambino per squarciare le tenebre della notte e del peccato e per illuminare, all’umanità, il cammino della pienezza di vita e della salvezza.
L’obiettivo che ci siamo posti noi è stato, pertanto, quello di entrare, a piedi scalzi, nell’orbita dell’aspirazione di fede del Poverello di Assisi, e ripercorrere le sostanziali modalità del grande mistero dell’Incarnazione, cercando di "vedere" e di "far vedere con gli occhi del corpo" le reali condizioni in cui Cristo è nato e il contesto umano e ambientale.
Abbiamo così formato la capanna con legni poveri, cortecce d’albero, e palme: i legni ci richiamano l’essenzialità, la sobrietà; le cortecce d’albero, la precaria difesa dal freddo e dai predoni; le palme, l’osanna e il crocifigge della Domenica delle palme, portale d’ingresso della grande settimana santa, cuore dell’anno liturgico-pastorale.
La paglia sparsa per terra nella capanna e nei pressi, come pure nella vicina piccola casetta rurale, sta ad indicare il segno della fragilità e del lavoro forzato degli ebrei in Egitto, quindi segno di schiavitù, di sofferenza e di morte. Gesù, adagiato sulla paglia, ci annuncia che Egli ha assunto la nostra condizione umana e si è addossata la nostra schiavitù per divinizzare la prima e per liberare la seconda.
Non ci sono strade che portano alla capanna, a dimostrazione che l’uomo senza Gesù, che è via-verità-vita, si avventura in deserti vuoti, come il tratto dietro la capanna, e deserti intervallati da presenze, come i ciuffi di erba e l’albero secco, ostili alla felicità dell’uomo, ma che egli deve superare se vuole sopravvivere. Il cammino che porta alla capanna necessita della Luce-Gesù o della stella, come quella che guiderà il cammino dei Magi.
La piccola casetta rurale ha bisogno delle canne assicurate ai legni per ripararsi dalle tempeste di sabbia desertica e dalle aggressioni dei ladri. Non canne sbattute dal vento, ma "canne" sostanziate dalla Parola di Dio e dalla forza profetica di cui esse sono animate. La simbologia ci conduce a Giovanni Battista, elogiato da Cristo non come una canna sbattuta dal vento, ma come il più grande profeta nato da donna.
In alto, c’è un villaggio in festa, intento alle proprie cose. Nessuno degli abitanti ha offerto un decoroso locale, segno del proprio cuore, dove far nascere il Figlio di Maria e Giuseppe. Accanto e in prospettiva palazzi, case e alberi: tutti estranei al grande evento divino atteso da secoli.
A ridosso, un ampio e profondo abisso (il dirupo montagnoso) separa i due mondi: quello degli uomini e quello di Dio. E’ sempre l’uomo, istigato dal demone del male, che scava gli abissi tra lui e il creatore, tra il bene e il male.
I due abeti, segni del natale umano, collocati ai lati dei paesaggi, sono stati addobbati dai bambini del catechismo, i quali hanno pensato di non ricorrere agli elementi tipici degli alberi di natale, presenti anche nelle nostre case, ma di ornarli con parole, pensieri, preghiere ed auguri dettati dal proprio cuore. Un cantico che si armonizza a meraviglia con la lode degli angeli, recanti l’annuncio del natale ai pastori. I quali, assieme alla gente comune, prontamente si incamminano verso la grotta, portando il frutto del loro lavoro, della terra o della pastorizia, e chi non ha niente solo l’ansioso desiderio di accoglierlo fra le sue braccia e stringerselo al cuore.
E’ il dono migliore che si possa offrire al bambin Gesù, in cerca non di effetti luminosi e artisticamente pregevoli, ma di semplice, puro e umile affetto. A significare che il vero natale non si fa con la tasca, ma col cuore. E allora sì che i nostri occhi si estasiano di fronte al presepio, e lo spirito, come quello di san Francesco, vibra "di compunzione e di gaudio ineffabile", mentre la notte "sembra tutto un sussulto di gioia".]
Come Francesco
Anche quest’anno nella nostra Basilica dell’Eremo della Consolazione, come da consuetudine, abbiamo rinnovato, con elementi essenzialmente poveri, sobri e naturali, la tradizione del presepe, ispirandoci alla rappresentazione voluta da Francesco d’Assisi e realizzata in Greccio, nella valle aretina, dall’amico Giovanni Velìta, un ricco signore della regione e assai timorato di Dio. Scopo dell’iniziativa era quella di riproporre al "vivo" il mistero dell’incarnazione di Betlemme, e cioè "vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per le mancanze delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello".
Approntata ogni cosa, invitata la gente del luogo e fatti convenire i frati dai vari conventi della regione, si è così dato vita, con l’autorizzazione di Papa Onorio III, al primo vero presepe. Era la sera inoltrata del 24 dicembre 1223. In quella sublime mistica notte, era talmente ardente l’amore spirituale dei presenti che tutto sembrava infuocato, da apparire in lontananza come un grande incendio. Il Celano ci tramanda che uno dei presenti, rapito dall’estasi, "gli è parso di vedere Francesco destare dal sonno profondo il Bambinello", il quale, sorridente, ha benedetto tutti gli astanti, fra il gaudio ineffabile generale.
Ecco come Tommaso Celano, al capitolo XXX della Vita Prima, ci trasmette lo straordinario evento del presepe di Greccio:
" La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen."
Nel riproporre la tradizione del presepe, ci siamo avvalsi della collaborazione dei bambini del catechismo, i quali, sotto lo sguardo amorevole delle catechiste, hanno richiamato, mediante i colori, alcune tappe importanti del cammino di salvezza, dal peccato originale fino all’evento del Natale. Tali tappe hanno trovato il culmine nell’incarnazione di Gesù, rappresentata scenicamente all’interno di una capanna ricoperta da rami di palme, richiamanti il giorno dell’osanna e del crucifigge. Questo sorprendente evento ci ha indotto a strutturare il complesso rappresentativo del presepe secondo i lineamenti della sobrietà, della povertà e della semplicità, e ciò non solo alla luce del mistero dell’incarnazione in quanto tale, ma anche in riferimento alle condizioni di estremo sacrificio e disagio che sta vivendo la nostra società, recepiti e concretizzati al meglio da Mario, Nicola, Lorenzo, Arturo, Franco, Nino, Fortunato, Carmelo, Vittorio, Gelsomino, Antonio e Giuseppe. Significativi, infine, lo striscione del canto angelico e le decorazioni degli alberi, curati da Domenico e Tina, accompagnati da massime evangeliche.
Quella notte Francesco, su un altare eretto sulla mangiatoia tra il bue e l’asinello, ha fatto celebrare la santa Eucaristia. Anche noi abbiamo celebrato, ad incominciare dalle ore 23.00, l’Ufficio delle Letture e la santa Messa, lasciandoci avvolgere dalla luce di un raggio della bontà di Dio Padre, rivelataci con la nascita di Gesù, il Salvatore del mondo, come magistralmente ci contestualizza, prendendo spunto dal presepe di Greccio, Papa Benedetto XVI nell’omelia della solenne Liturgia natalizia, di cui stralciamo i seguenti passaggi:
"Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.
Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.
Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.
Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen".
Natale è...
Alle ore 11.00, domenica 25 dicembre, i bambini del catechismo hanno introdotto la solenne Eucaristia con tre messaggi angelici, che sintetizzano quelli che brillano sugli alberi del presepe. Non sono le solite palline di vetro che si gongolano dai rami, tra filamenti dorati e argentati e alcuni fagottini di regali; non è neppure la variforme teoria oggettistica che conferisce al complesso quel silente senso di festa tipica del natale, sormontati da una grande stella o da una decorazione solenne e imponente. I bambini, questa volta, hanno scelto di decorare gli alberi presepiali sostituendo quelle palline fredde e appariscenti, ma anche così fragili, con altre, impresse su tondini di carta, che richiamano i valori caratterizzanti la civiltà dell’amore e dell’essere, che da qualche tempo è messa duramente in crisi dalla feroce avidità dell’avere, gonfiando, come un aerostato, i muscoli del proprio io. Questi bambini, dal cuore innocente e puro, sensibile e dolce, chiedono che l’umanità torni ad essere se stessa, come quando è uscita dalle mani di Dio e che satana è riuscito ad ingannare con lusinghe che altro non erano che le porte dell’infelicità, dell’odio e della morte. Gesù è venuto per aiutare l’umanità a ritrovare la gioia del sorriso, della pace, della gioia, dell’amore. Ha scritto una bambina: "Un giorno quando, guardando dalla finestra, non vedrò più guerre, prenderò un albero, lo vestirò di stelle e quel giorno sarà natale!". Un bambino di nome Luigi riconferma il messaggio appena scritto, sottolineando che "noi ci riempiamo di regali, ma il vero festeggiato è Gesù, ma lui non vuole i regali che riceviamo noi, lui vuole che si faccia del bene agli altri". E ciò semplicemente perché, come ci ricorda Desirée, "natale è amore, allegria e pace perché nasce Gesù Bambino". Questi sono alcuni dei messaggi che i bambini hanno appeso agli alberi. Essi, non vogliono morire martiri dell’efferato egoismo dei grandi e dei potenti, ma vogliono gustare la bellezza delle meraviglie del creato, soprattutto la bellezza della vita con i suoi colori e i suoi sapori, con il suo candore e la sua ricchezza, con la libertà di volare nei cieli azzurri dei sentimenti e dei valori e di essere, ovunque, segno dell’amore di Dio, senza distinzione di nazione, lingua e cultura.
Fermiamoci un pò e cerchiamo di ascoltare le pulsioni del loro cuore, colme di purezza, amore, pace, gioia e bene. E cerchiamo di far patrimonio di questo straordinario tesoro umano, spirituale, sociale e culturale, che essi desiderano condividere con noi. Eccolo:
* "Natale è:
- Amore
- Pace
- Gioia
- Fratellanza e uguaglianza
- Cuore
- Gesù
- Amicizia
- Bene
- Carità
- Costanza
- Dolcezza
- Dono
- Fede e speranza
- Felicità
- Gentilezza
- Pazienza
- Preghiera
- Grazie
- Solidarietà Amicizia Unità Amore Pace
- Augurio".
La suddetta articolazione esplicativa del Natale è stata selezionata e proposta dagli stessi bambini.
"Siamo venuti dall’oriente per adorare il re"
"Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2,1-12).
"Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2,1-12).
Alleluia, alleluia.
Abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti per adorare il Signore.
Alleluia (Mt 2,2).
Abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti per adorare il Signore.
Alleluia (Mt 2,2).
"Tutto l’essere ed operare delle creature ha da andare a Dio: cioè tutto farsi a sua gloria".
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".
"Un albero si secca, se si fa spesso mutar di luogo".
"Una ferita nel corpo ti fa gemere, tante ferite mortali nell’anima non ti pesano. Prega, prega Dio che te le faccia sentire, e se ottieni la grazia, cercherai il medico che ti guarisca, né ti quieterai finché non abbi ricuperato la vita, e la salute".
"Tre generi di vita si possono menare da viventi: viver da bruto, viver da uomo, viver da cristiano.
Il bruto è regolato dai soli sensi, l’uomo dalla ragione, il cristiano dalla fede".
"Temete la calca enorme dei vostri peccati? Maria è impegnata ad impetrarvi l’indulto, e la remissione".
"Si guardi di non giudicar male alcuno, né condannarlo, ma più tosto giudichi e condanni se stesso".